Si potrebbe pensare che crescere in Polonia significhi solo baffi e Pierogi, ma la mia infanzia ha significato soprattutto baffi e un sacco di guai. Io e mio fratello - che ha un anno meno di me, un grande affare all'epoca - uscivamo dalla porta di casa e ci ritrovavamo direttamente nei Parchi Nazionali e passavamo giornate interminabili a scalare alberi, ad addormentarci nelle buche di sabbia e a guidare biciclette traballanti giù per colline ripide. Non appena i cinghiali se ne andavano, i ragazzi arrivavano, causando ancora più problemi degli animali stessi.

 

Uno dei miei primi ricordi è quello di una giornata calda e bollente, una strada sabbiosa e sconnessa e nuvole di polvere nell'aria - non si vedeva niente. Allora pensavamo anche di essere invincibili, consideravamo i freni più come decorazione - qualcosa a cui legare dei nastri - non certo per la loro funzione reale.
Un intero gruppo di noi condivideva quelle biciclette sgangherate e il gioco era quello di percorrere un sentiero ripido il più velocemente possibile, con tutti gli altri bambini che urlavano e correvano per incitarti. Pensavi davvero di sapere tutto e sicuramente in quel momento eri la persona più veloce del pianeta... fino a quando non capisci che non sai davvero come fermarti! 

Quel giorno mi sono schiantata così forte che non ho più sentito l’aria nei polmoni, mi sono ritrovata con un mucchio di lividi, un manubrio nelle costole e una nuovissima sensazione di essere molto dolorante e anche molto fragile.

Mi ci è voluto un po' di tempo per tornare lì, per superare di nuovo quella paura del dolore. Ma io e mio fratello abbiamo continuato a pedalare insieme, migliorando col tempo - ma non molto di più - e facendo quasi venire un infarto a mia madre. Tanti anni dopo, quello è diventato anche un buon campo di allenamento per la MTB - con freni funzionanti, questa volta!
Il ciclismo è rimasto una passione fin da quei giorni polverosi e non avrei mai immaginato che avrei giocato ancora oggi nei boschi fangosi.