La foto risale al 1998 o al 1999. Facevo parte della squadra di casa, lo storico Veloce Club Borgo, e quella era la tipica avventura domenicale che portava me e i miei compagni in giro nella provincia di Trento e dintorni per disputare le gare. 

Il furgone con il quale ci spostavamo era un leggendario Volkswagen bianco, sullo stile di quelli che si vedono nelle foto degli Hippie, con un portabici artigianale che serviva a mettere tutti i nostri telai sul tetto. I viaggi, che ora sono all'ordine del giorno, a quel tempo sembravano traversate intercontinentali ma a noi non interessava..anzi, più lungo era il tragitto, più ci si divertiva perché sul furgone non c’erano i nostri genitori - che ci seguivano in macchina - eravamo da soli con il nostro allenatore Paolo. Questo ci faceva sentire grandi e liberi, ciclisti adulti con grandi responsabilità. 

In realtà non ci importava molto se vincevamo o perdevamo, mi ricordo che avevamo un motto che veniva recitato sempre e obbligatoriamente in dialetto: " All'arìvo bìson eser strachi e contenti!" che tradotto significa “all'arrivo bisogna essere stanchi e contenti.” Paolo ci aveva insegnato che in corsa l’importante era impegnarsi al massimo e divertirsi in sella alla nostra bici. Il risultato contava relativamente. 

La parte più bella della giornata poi era il pranzo oppure la merenda tutti assieme, giocare a calcio e a nascondino prima o dopo la gara. Era fantastico passare il tempo con un gruppo di amici affiatati, condividendo la passione per lo sport.  

Questa foto non è un ricordo del momento in cui ho deciso di voler fare il ciclista, quello lo ha deciso la strada, ma è il motivo per cui il ciclismo rappresenta la mia passione prima di essere il mio lavoro.