La bici per me ha sempre rappresentato un momento di gioco e di trasporto. Vivendo in un paesino immerso nella campagna padovana, mi è sempre servita per spostarmi e per giocare.

Ricordo che usare la bici significava essere indipendenti, soprattutto quando andavo alla scuola elementare.

Spesso partivo da casa ad un orario, con mamma fissavo sempre un orario di rientro, ma alla fine non essendo legato ad altri mezzi e persone, facevo come mi andava, rincasando quasi sempre più tardi dell’orario stabilito. Mi piaceva vagabondare!

Una volta in un sabato pomeriggio dovevo andare a tagliarmi i capelli, e il barbiere era più o meno a 5 km da casa ma ricordo che quando arrivai lo trovai chiuso. Ero arrivato troppo presto. Quindi, decisi di tornare indietro e trovarmi con gli amici e giocare. Quante ne combinai e quanto tempo spesi con loro quel pomeriggio, tant’è che alla fine non andai dal barbiere ma me ne tornai a casa direttamente, molto più tardi dell’orario che avevo stabilito con mamma. Risultato? Mamma arrabbiata e punizione. Si, la bici prima di diventare parte del mio lavoro è stata un mezzo per giocare e poi un mezzo per spostarmi libero, senza vincoli e senza restrizioni, con solo la volontà di scoprire e di esplorare.

Poi con il passare degli anni ebbi la fortuna di avere un grande esempio, mio fratello che praticava ciclismo e seguendolo mi appassionai. Prima da spettatore alle sue gare, poi in televisione con i grandi giri e le grandi classiche, per finire poi a farlo diventare parte integrante del mio lavoro, il triathlon.

Sono passati moltissimi anni ma l’amore per la bici e la voglia di scoprire non si esauriscono, anzi, come per l’universo, continueranno ad espandersi all’infinito.