Una generazione di leggende: quando la passione è un affare di famiglia. 

Le generazioni Everts hanno segnato per sempre gli ultimi decenni del motocross. Harry Everts è stato quattro volte campione del mondo, Stefan ha conquistato il titolo mondiale in dieci occasioni, in quattro classi diverse, mentre suo figlio Liam è una stella nascente del motocross.

Ora padre e figlio parlano insieme dei loro primi ricordi su una moto. 

Liam Everts

Credo di avere nel DNA un po’ di moto. Se penso alla prima volta che ho guidato una moto, mi ricordo la mia piccola Yamaha GTR 50, era lungo la strada, con la pista e i campi, vicino a casa. E’ lì che ho iniziato a correre, molto lentamente. Avevo circa quattro anni ed è così che è iniziato tutto. Con un cognome come il mio nel motocross ho una certa responsabilità, però mi sono sempre concentrato su me stesso e con la stessa pazienza e determinazione di quella volta, ho seguito la mia strada pensando solo a correre e a vivere la mia passione per la moto. Diciamo che mi sono avvicinato a questo sport in modo molto costante senza fretta, è importante  trovare la propria dimensione e sviluppare il proprio talento. Ricordo con molto piacere quel momento e sono contento di aver potuto vivere quell’esperienza che mi ha portato a conoscere da vicino il mondo in cui mio papà e prima ancora mio nonno hanno lasciato un segno. 

Stefan Everts

La mia prima corsa risale a quando avevo quattro anni. Mio padre non mi ha spinto ad andare in moto ma quando sono nato correva già nel mondiale e io di solito passavo il tempo a guardarlo durante le gare. Un giorno ha deciso di regalarmi una piccola Italjet - credo sia una moto italiana. Una delle prime volte che l’ho guidata, sono andato dritto contro un muro di cemento e ho rotto la forcella anteriore, tutta la moto era piegata e il piccolo Stefan era sotto shock. Non ho guidato per diversi mesi - questo è quello che mi hanno detto i miei genitori. Poi sono tornato in sella perché ho capito che quello era ciò mi piaceva fare, che mi faceva stare bene. Non è stato difficile prendere una decisione, e a 16 anni sono diventato un pilota professionista. Andavo ancora a scuola ma il mio cuore e la mia testa erano lì, alle corse. Ricordo che mi piaceva uscire, soprattutto quando pioveva e c'era fango: adoravo andare fuori, sporcare la mia moto ma quello che mi faceva impazzire di più era aprire l'acceleratore e vedere lo sporco volare via. Anche una volta cresciuto, ho continuato a premere il gas e guardare dietro di me per vedere come la sabbia e il fango sarebbero volati via. E’ iniziato come un un divertimento, una passione, che poi con la maturità è diventata la mia professione, un hobby diventato un lavoro, è così che le corse faranno sempre parte della mia vita.