La mia storia con la bici è iniziata quando ero molto piccolo, avevo solo cinque anni. Sono partito proprio dall’inizio, dalla categoria G1, e tutto è cominciato per caso. Io e la mia famiglia abitavamo in un condominio e nel piano sotto di noi c’era il presidente di una società di ciclismo, lui e mio padre parlavano spesso e un giorno gli ha chiesto se suo figlio non volesse provare a correre in bicicletta, praticare uno sport forse meno popolare di altri ma altrettanto eccitante e divertente.

I bambini iscritti alla società poi si allenavano nell’area industriale davanti ai campi di mio nonno e io, nei pomeriggi in cui passavo del tempo con lui, li vedevo girare continuamente in bici e iniziai ad incuriosirmi a questo mondo. 

Mi ricordo che alla mia primissima gara arrivai terzo mentre nella seconda arrivò la vittoria. Ho sempre vinto molto nelle categorie giovanili ma ciò che di più intenso mi resta di quegli anni è il divertimento. Dai sei ai sedici anni ho sempre corso nella stessa società ed eravamo come una vera famiglia, si sono creati dei rapporti fantastici tra di noi e i nostri genitori. Se ripenso alle gare, mi ricordo quanto si stava bene insieme: si partiva come per una gita, si mangiavano i panini, ognuno portava qualcosa, correvamo come matti e giocavamo fino allo sfinimento. Non ho mai sentito nessuna pressione e quelli sono stati degli anni bellissimi della mia vita. Poi quando sono passato Junior le cose sono cambiate, quella è stata la mia prima grande responsabilità da adulto. Ho iniziato a pianificare le cose - il peso, l’allenamento ecc - e a seguire tutte le piccole grandi regole che ti portano a pensare che in futuro potrai diventare un ciclista professionista.

Il rapporto con Sidi è di lunga data: usavo queste scarpe da Allievo poi ho continuato per tutti gli anni da Juniores e nel primo da Dilettante. Le avevo anche quando ho vinto l’ultima gara a Ponsacco. Non mi vergogno a dire che quel paio lo conservo ancora, come si fa con i cimeli legati ai momenti importanti della nostra vita.